Le cronache, da troppo tempo, rappresentano Napoli sempre di più come una città violenta, dove comanda e vige il potere della malavita più che quello delle istituzioni. Mentre scrivo, ragazzi di diverse posizioni sociali sono uccisi con inaudita violenza da delinquenti di professione, da ragazzi qualunque. Oggi a Napoli la violenza si esprime con inaudita brutalità, ma ciò avviene, seppur non con la stessa intensità, anche in altre grandi città.
Il primato principale della nostra città è quello, nel delinquere, di anticipare ciò che succederà o potrebbe succedere altrove. Perché a Napoli da troppo tempo tutto è al limite della sopportazione civile, la precarietà è un modo di vivere tradotto con l’arte dell’arrangiarsi. Non esiste più una gerarchia del potere, ma un magma che pervade tutta la collettività, rendendo indefiniti ed indefinibili i confini tra società civile, istituzioni e delinquenza.
Ci siamo troppo assuefatti al non rispetto delle regole, cercando sempre “l’altra strada” per un nostro scopo personale: dai piccoli peccati, come il non rispetto del semaforo, la raccomandazione per una visita all’ospedale, il parcheggiatore abusivo, fino a quelli più gravi che spesso si giustificano con la necessità del “dover pur vivere”, se non addirittura con l’orribile frase “così fan tutti”. Quello che voglio dire è che bisogna comprendere, ed è fondamentale, che non esiste una Napoli perbene ed una che delinque, ma un’unica Napoli che è rappresentata da entrambe le realtà.
Che quella che chiamiamo camorra esiste perché esiste una città come Napoli dove, poco a poco, il degrado quotidiano ha creato dei cancri che hanno prosperato all’interno della città, alimentandosi di tutti i difetti della “napoletanità” fino ad arrivare, ai giorni nostri, a divorarla ed ucciderla. È chiaro che chi ha avuto maggior potere in questi anni è altrettanto responsabile della dimensione che il male oggi ha assunto, avendo una sensibilità ed una visibilità del fenomeno molto più ampia del cittadino qualunque.
È da un po’ di tempo che qualsiasi cosa succeda, ma non solo a Napoli, si tende ad individuare nella camorra la causa principale (anche nel terremoto abruzzese ci si preoccupa di infiltrazioni mafiose e camorristiche).
La mia preoccupazione principale è, invece, quella di dare un nome ed un cognome alle responsabilità di quanto succede, e non nascondersi dietro il male incurabile che diventa il buco nero della società napoletana.
Per combattere la camorra ci vuole una forte presenza dello stato, una magistratura coraggiosa, un rigorismo delle istituzioni nell’assegnazione degli appalti. Ma ciò non basterà se ogni cittadino non si assumerà le sue piene responsabilità , ognuno nella propria dimensione e nella propria quotidianità, e se non fermerà ogni tipo di collusione con comportamenti che possano far accrescere il malcostume, nel quale prospera il malaffare.